E' stato uno dei lavori più discussi al Festival cinematografico di Roma il film del salentino Edoardo Winspeare (al suo quarto lungometraggio dopo una lunga esperienza come musicista-fotografo-montatore-tecnico del suono-aiuto-regista), prima opera italiana a mostrare una donna al comando di una cosca di stampo mafioso, "una storia d'amore impossibile con uno scheletro noir" (parole del regista), "un amore represso e impossibile che diventa metafora di una terra lacerata" (Il Messaggero) .
Dopo i lodatissimi "Pizzicata" (1996, premiato a San Sebastian) e "Sangue vivo" (2000, il primo film italiano presentato al Sundance), Winspeare torna a parlare del Salento: siamo tra gli anni 70 e 90, quando la Sacra Corona Unita (l'unica associazione criminale che è stata sconfitta), spadroneggiava in buona parte della Puglia.
Il titolo del film fa riferimento ai tempi andati, quando era più semplice riconoscere gli onesti, quando "la linea di demarcazione tra bene e male era più netta": l'intento del regista è invitarci a scoprire come le cose siano cambiate, sia riguardo alle persone che all'ambiente ("Winspeare racconta l'innocenza perduta di una generazione e della sua terra" , scrive Federico Gironi).
Un quadro desolante dove la criminalità e l'amore la fanno da padrone, un melodramma che vorrebbe mostrare come amore, amicizia, cronaca nera, condizionamenti materiali, speranze, bisogni...si leghino ambiguamente (e indissolubilmente) uno con l'altro. Un affresco con l'ambizione di non essere circoscritto al luogo dove la narrazione si svolge e di parlare di sentimenti, di decisioni, di scelte che potrebbero riguardare tutti noi (il regista ha dichiarato che il Salento "è una metafora del mondo. La mia terra è un valore aggiunto, il centro del mio mondo. Come diceva Tolstoj: il tuo villaggio è il centro del mondo, racconta il tuo villaggio e racconterai del mondo").
Le nobili intenzioni (sulla carta) non sembrano essersi realizzate (sullo schermo).
Un film dal finale giustamente aperto, dove sono importanti gli sguardi i gesti il non detto ma che vede l'irrompere improvviso di scene d'azione (ottime). Un film dove prevale l'introspezione e che dovrebbe indurre lo spettatore a più di una riflessione.. Ma il tutto non riesce a risultare credibile né a coinvolgere né ad emozionare (un certo senso di noia affiora qua e là): "l'impressione è di un film che non è in grado di comunicare con sufficiente chiarezza quale sia il suo vero interesse narrativo" (Comingsoon).
Andamento lento, risvolti nel racconto poco plausibili, eccessiva e fastidiosa insistenza sulla "cafonaggine" e "cialtronaggine", presenza di scene simil-hard (sembra proprio che il cinema italiano non ne possa fare a meno!) di cui non si sentiva la necessità, caduta nel mero sentimentalismo.
Dotato di grande talento visuale, il regista pugliese (ma nato in Austria) ha realizzato certamente un lavoro in cui impeccabili sono la messinscena, la fotografia, la colonna sonora, ma...
Scrive Il Giornale "È un film ambizioso e noioso": concordo pienamente.
E' la prima volta che Winspeare utilizza attori famosi.
Tutti i critici, anche chi ha gradito poco il film, non hanno lesinato lodi alla performance della protagonista (premiata con il Marc'Aurelio d'Argento come Miglior Interprete Femminile):
Il Foglio: Donatella Finocchiaro è bravissima; Cinemaplus: ...una Donatella Finocchiaro caleidoscopica, ora dolente, ora crudele, ora sensualissima; Il Corriere della Sera: ...la donna capoclan conquista il Festival; Spaziofilm: Un plauso a Donatella Finocchiaro, riesce a calarsi nel miglior modo possibile nel difficile personaggio che le è stato cucito addosso; La Stampa: ...grande bellezza e intensa bravura di Donatella Finocchiaro; Il Mattino: Donatella Finocchiaro è di una bravura almeno pari alla sua stordente sensualità.
Tanto entusiasmo non mi trova d'accordo. Donatella Finocchiaro è sicuramente una delle migliori presenze del nostro cinema e ha un forte magnetismo ma qui il suo personaggio risulta piatto e monocorde (nonché poco verosimile): stesso tipo di recitazione per tutto il film, senza la grinta e la forza che il ruolo richiederebbe.
Poco convincente nei suoi risvolti anche il magistrato interpretato da Fabrizio Gifuni e non attendibile il "drogato" Beppe Fiorello.
I più credibili risultano essere i bravissimi Giorgio Colangeli e Gioia Spaziani (il primo era stato premiato a Roma lo scorso anno per "L'aria salata" di Alessandro Angelini, la seconda si era già distinta con "Concorrenza sleale" -2001- di Ettore Scola… e meriterebbe di essere finalmente protagonista).
mercoledì 26 novembre 2008
"Galantuomini" di Edoardo Winspeare
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