Francamente non capisco il generale entusiasmo della critica. Certo "Pranzo di ferragosto" è un'opera carina e leggerina, si vede volentieri... ma niente più.
La storia è simpatica ma non sviluppata a dovere: colpevole una sceneggiatura scarna, priva di inventiva (e non senza qualche incongruenza) e che sembra non saper cogliere tutti gli spunti che il soggetto presenta. La "forzata" convivenza di quattro novantenni poteva dare adito a numerose scoppiettanti gag (che qui latitano) o costituire fonte per una amara riflessione sull'essere anziani in un mondo che accetta solo la giovinezza (riflessione di cui nel film non si fa cenno). Ritorna in mente l'intervista di Tatti Sanguinetti al "Corriere della Sera" (25 agosto) e il suo appello ai registi di ridimensionare le proprie ambizioni (e la finissero di considerarsi geni "tuttofare" -il regista è sempre anche autore del soggetto e della sceneggiatura- decidendosi a lavorare, come in America, in equipe , smettendola con il loro individualismo da qualcuno definito giustamente "insano").
Ha dichiarato Di Gregorio: "ho conosciuto e amato la ricchezza, la vitalità e la potenza dell'universo dei "vecchi". Ma ho anche visto la loro solitudine e vulnerabilità in un mondo che cammina a passo accelerato senza sapere dove va perché dimentica la sua storia, perde la continuità del tempo, teme la vecchiaia e la morte ignorando che nulla ha valore se non la qualità dei sentimenti" … ebbene è proprio tutto questo che manca nel film.
Da Monicelli a Scola, da Germi a Risi, da Zampa a Lattuada… la cinematografia italiana è stata maestra nel presentare e analizzare la nostra realtà, facendoci divertire ma inducendoci a riflettere (come scrive Francesco Troiano "il cinema della risata assume connotati d'amarezza e racconta i lati oscuri dei cambiamenti della società: la volgarità della nuova borghesia urbana, la perdita dei valori cui subentrano effimere e vacue mitologie, la solitudine che l'individuo sconta all'interno di codesti scenari via via sempre più disumananti"). Se lo scopo di "Pranzo di Ferragosto" era similare, non si può dire che l'intento sia riuscito.
Gianni Di Gregorio ha una buona conduzione registica e ha faccia e movenze giuste per il ruolo che interpreta ma non riesce a ricavare tutto il ricavabile dalle protagoniste, che a volte appaiono imbalsamate e poco spontanee (ma perché non scegliere quattro abili professioniste, magari semisconosciute, ma in grado di "recitare" e di dare spessore ai rispettivi personaggi? Il neorealismo amava scegliere attori dalla strada, ma lì c'era una necessità ideologica: qui perché lo si fa?).
Il film, così come è costruito e come procede, non rende un buon servizio agli "anziani". Che la terza o la quarta età sia un'età scomoda gli adulti lo sanno già, i giovani vedranno confermata l'idea che i vecchietti se ne devono stare per proprio conto e alla larga da loro.
p.s
Sbagliato, a mio parere, il finale (il danaro trionfa su tutto?).
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