lunedì 25 agosto 2008

Sanguinetti e il cinema italiano

L'interessante l'intervista, pubblicata sul "Corriere della sera" il 25 agosto a Tatti Sanguinetti (critico e storico del cinema), che dichiara "All'Italia non servono solo maestri, dobbiamo recuperare i registi di seconda e terza fila", consente di riprendere il discorso sull'attuale cinema italiano.

Sanguinetti cura con Sergio Toffetti la retrospettiva, alla
65a Mostra veneziana, sul cinema italiano ritrovato (quei film che per trent'anni, dal 46 al 75, "hanno fatto la ricchezza della nostra industria dello schermo e poi sono spariti, inghiottiti nell'oblio, cancellati… militi ignoti di un cinema parallelo a quello dei grandi nomi, veri talenti, relegati però all'ombra ingombrante dei grandi maestri…").
Scriveva tempo fa Gordiano Lupi:
"Certi critici se sul grande schermo non vedevano le mondine o i partigiani non si emozionavano e quindi tutto quello che stava fuori da una poetica di impegni civile andava bistrattato. Il risultato è che da noi il cinema popolare è morto, abbiamo affossato tutti i generei che bravi registi avevano faticosamente costruito (western, poliziesco, commedia sexy…) e ci resta soltanto la televisione".

Di fronte a una cultura ufficiale che ha penalizzato l'entertainment, hanno preso piede l'improvvisazione e l'inesperienza, molti film paiono la copia dei precedenti, le trame sono spesso scontate, manca una scrittura di qualità, il livello tecnico professionista non sempre brilla, campeggiano i soliti triti riferimenti sessuali e le macchiette dialettali, la fantasia e la creatività latitano (
"cinema afflitto da una sterilità ottundente", scrive Igor Principe ) : conseguenza… produciamo pochi film, il pubblico diserta le sale dove si proiettano le opere italiane.
Pino Farinotti afferma:
"Mai come in questa epoca il cinema italiano...è stato in crisi, e i dati sono impietosi. Il primo è nell'estetica, il secondo nei contenuti, il terzo negli incassi".

Se si vuole che lo spettatore ritorni a vedere con regolarità i film italiani necessitano le buone idee che attingono, più che ai fondi generosamente elargiti dallo Stato, alle risorse preziose dell'intelligenza e dell'immaginazione. Occorrerebbe che i nostri migliori registi (e qui ritorna il discorso di Sanguinetti) ridimensionassero le loro ambizioni (e la smettessero di considerarsi geni "tuttofare" -il regista è sempre anche autore del soggetto e della sceneggiatura- decidendosi a lavorare, come in America, in equipe e la smettessero con il loro individualismo da qualcuno definito giustamente "insano") e capissero che un messaggio si può dare anche "cinematograficamente": una bella storia che coinvolga, una solida sceneggiatura, attori qualificati, una messainscena dignitosa (ingredienti sempre più rari e che spesso fanno forte il cinema americano, effetti speciali a parte). E naturalmente liberarsi dalla "sindrome delle due camere e cucina" (l'incapacità del nostro cinema ad andare oltre la piccola e ripetitiva storiella, che è possibile raccontare senza scomodare tematiche di grande rilevanza e soprattutto esosi mezzi produttivi).

A Venezia avremo l'opportunità di rivedere i film di Luigi Zampa, Mauro Bolognini, Emanuele Luzzati, Giorgio Bianchi, Duilio Coletti, Vittorio Caprioli, Mario Bonnard, Claudio Gora, Mario Missiroli, Giuseppe Fina, Luciano Salce…
"un cinema di generi. Dal comico al western, dall'eroticoIl termine generi sembra archiviato dalla nostra produzione. Con gli anni 90 -ribadisce Sanguinetti- l'autore ha soppiantato il regista, ormai basta un film e sei subito autore".
Nell'attuale panorama italiano, il critico salva Pupi Avati e Ferzan Ozpetek, ambedue presenti quest'anno al festival di Venezia.
Il primo è il
"solo cineasta italiano di oggi in grado per velocità, duttilità e mestiere di dirigere due film all'anno, di esplorare ancora i generei, dalla commedia all'horror al giallo… Una figura anomala, al passo della vecchia guardia". Il secondo "è in qualche modo anche lui erede di quel dna. A differenza del cosiddetto autore, Ferzan gira copioni scritti da altri e lo fa con assoluta padronanza".
p.s.
A Venezia intanto è scoppiata la polemica con la Germania e Hollywood che rimproverano la Mostra di essere eccessivamente patriottica.
"Ci sono undici film nelle sezioni principali e quattro sono in concorso. Su un totale di 21 titoli in lizza un po' troppi" accusa "Der Spiegel". E l'agenzia Reuters si lamenta che il cinema americano non occupa lo spazio che meriterebbe.
tutteleproblematiche


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