mercoledì 25 giugno 2008

"Savage Grace" di Tom Kalin

Tratto dall'omonimo romanzo di Natalie Robins e Steven Aronson (ispirato alla vera storia di Barbara Daly, ragazza di bassa estrazione sociale che sposa il magnate Brooks Baekeland, erede della fortuna accumulata dal nonno, inventore della bakelite) "un film scioccamente chic" (Il Messaggero), "barocco e decadente" (Corriere della Sera), uno sfoggio di"voyerismo intellettuale" (Il Giornale). La critica non è stata tenera con Savage Grace.
Peccato, occasione mancata… E' la prima immediata impressione dopo la visione di questo secondo lungometraggio di
Tom Kalin, gay militante (famoso per il suo impegno civile nella lotta contro l'AIDS e per la difesa dei diritti degli omosessuali).
Quadro di una famiglia attraverso trent'anni della loro storia, poteva essere un potente affresco di una società, di un'epoca, di una mentalità, di uno stile di vita…
Abbiamo il ritratto in superficie di tre esseri umani le cui psicologie e le cui motivazioni non sempre sono adeguatamente approfondite: ricchi, belli, annoiati, oziosi, vuoti, insoddisfatti, intimamente disperati, egoisti, narcisistici, schizofrenici, sostanzialmente incapaci di dare qualcosa. L'attenzione è rivolta soprattutto al rapporto madre-figlio, opprimente e morboso, in cui un amore distorto (o la mancanza di un vero amore) prevale su tutto.
Ci voleva ben altro regista per coinvolgerci in una vicenda che sa tanto di tragedia greca: Tom Kalin sembra non possedere la stoffa per padroneggiare la scabrosa materia che ha a disposizione e realizza un prodotto formalmente impeccabile ma che non ha mordente, un melò algido e freddo senza pathos (il che naturalmente è una contraddizione).
Tennessee Williams ne avrebbe fatto un dramma al contempo impressionante e pietoso, passionale e sensuale. Qui primeggiano poca tensione, scarso ritmo, esiguo coinvolgimento dello spettatore che non riesce a sentirsi partecipe delle vicende dei protagonisti (chiusi nel loro mondo immobile e senza tempo, non scalfiti dalla realtà che li circonda, completamente avulsi dagli avvenimenti che li circondano).
Apprezzabile la prestazione dell'intero cast. Un plauso particolare a
Julienne Moore (da sola rende il film degno di essere visto), mirabile nell'impersonare una donna ricca di lati oscuri e conflitti interiori, fragile e sensibile, inadeguata e insoddisfatta, fondamentalmente oppressa dalla solitudine.
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