Tratto da una piece teatrale di Ed Graczyk, che lo stesso Altman aveva messo in scena con successo di critica più che di pubblico, il film è tutto chiuso in un unico ambiente: un polveroso, angusto, modesto emporio in pieno deserto texano. Ma in questo spazio così ristretto vi è tutto un mondo con le speranze deluse, con le frustrazioni, con le ipocrisie, con i tradimenti, con le generosità di ognuno di noi (il film potrebbe benissimo intitolarsi "Tutto il mondo in una stanza"). E noi partecipiamo, coinvolti al massimo, a questo incontro che ben presto si rivela un gioco al massacro, un bilancio senza remore di sei vite che assolutamente non sentiamo estranee ma in cui tutti, più o meno, ci ritroviamo. Tante storie apparentemente diverse, ma senza intrecci secondari: le rivelazioni di ciascuna donna ha effetti, ripercussioni sulle altre.
Analisi impietosa dell'artefatto "sogno americano", il film mostra la vera faccia dell'America, fatta anche di solitudine, disperazione, violenza…
Terribile il finale: con i titoli di coda già in corso, la cinepresa vaga tra le pareti dell'emporio. Ogni cosa è decrepita: delle fotografie, degli oggetti, dell'arredamento non restano che i mesti "relitti" spazzati dal vento acre e polveroso del Texas. Vent'anni dopo le donne troveranno inutile incontrarsi di nuovo: tutto è stato già detto. Le illusioni sono morte.
Magistrale prova di regia: neanche ci accorgiamo che l'intero film è "chiuso" in un unico ambiente; bellissima l'idea del grande specchio del locale attraverso cui passato e presente si amalgamano. Altman si conferma come uno degli autori più significativi e originali di Hollywood e come uno degli osservatori più attenti, critici, profondi e irriverenti della società americana.
Magistrale la prova delle interpreti, tutte da applauso a scena aperta: un cast femminile così perfetto lo si vedrà in seguito solo in "Tutto quello che so di lei" e in "The Hours". In particolare vorrei citare Sandy Dannis e Cher. La prima, famosa più come attrice di teatro, e che ricordiamo per l'Oscar vinto nel 1966 con "Chi ha paura di Virginia Woolf?", offre una prestazione maiuscola e che fa rimpiangere che il cinema l'abbia sfruttata così poco (l'attrice è morta nel 1992 all'età di 54 anni). Cher ha qui l'opportunità di mostrare in pieno il suo talento e di sfidare Hollywood che fino a quel momento non l'aveva presa molto sul serio (ebbe la nomination al Golden Globe): il film le consentirà di affrontare gli impegnativi ruoli di "Silkwood" (1983), "Dietro la maschera" (1985), "Stregata dalla luna" (premio Oscar, 1987).
Un film che è una vera lezione di cinema e che tutti dovrebbero vedere, soprattutto coloro che si ostinano a ripetere che il cinema americano è solo effetti speciali e costosi giocattoloni.
Pubblicato su Cinemaplus
i classici
lunedì 14 aprile 2008
I Classici: "Jimmy Dean Jimmy Dean"
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