domenica 30 marzo 2008

Quando gli States fanno autocritica

Scrive Roberto Cataldi:
"Il cinema non è soltanto tecnica, spettacolo e divertimento ma, come afferma Barthes, un vero e proprio "festival delle emozioni". Il suo legame profondo con il contesto sociale in cui nasce lo rende il mezzo principale di interpretazione di quei modelli morali destinati in qualche modo a diventare norma. Per tutto il tempo che trascorriamo nel buio di una sala cinematografica possiamo avvertire l'esistenza di un insieme di "valori condivisi", che portano la platea a schierarsi dalla parte di ciò che all'unisono si percepisce come "giusto" o "buono", non tanto su basi razionali, quanto sul piano prettamente identificatorio. Così sul versante emozionale… si riesce a trovare una formidabile intesa. Se è vero… che il cinema riflette la società ed è, anzi, da essa stessa plasmato, dobbiamo altresì riconoscere che un film può contribuire a formare nuovi valori e a metterne altri in discussione. E' come se esistesse un rapporto di reciprocità tra il film e i suoi spettatori: uno scambio consenziente, anche se non sempre lucidamente consapevole, di valori e di idee".

Parole che servono a spiegare l'importanza che Hollywood abbia avuto il coraggio di affrontare i suoi fantasmi e abbia messo in discussione credenze e valori di tanta parte della società americana. L'elenco di film nei quali il cinema hollywoodiano fa autocritica è sterminato…
Vorrei ricordarne due in particolare.

Il buio oltre la siepe (1962), il film più rappresentativo di tutta la carriera di Gregory Peck con il quale vinse finalmente il primo ed unico Oscar della sua vita.
Nella pellicola diretta da Robert Mulligan, che descrive efficacemente la provincia americana intollerante e razzista, Peck interpreta un avvocato che riesce a far assolvere un nero dall'accusa di violenza sessuale su una donna bianca.
Film coraggioso ed incalzante,
Il buio oltre la siepe offrì la possibilità a Peck di interpretare un eroe appassionato ed idealista che gli fece meritare giustamente il riconoscimento non solo come migliore attore dell'anno ma in seguito anche come miglior personaggio "buono" della cinematografia americana in un recente sondaggio promosso dal prestigioso American Film Institute (Occhisulcinema) .
Quando gli chiedevano quali fossero i ruoli nei quali maggiormente si identificava, lui rispondeva immancabilmente:
«Sono tanti. Nell´ordine, Atticus Finch, Atticus Finch, Atticus Finch e ancora Atticus Finch». Diceva così anche nello stupendo documentario che Barbara Kopple gli ha dedicato nel 1999, "Conversation with Gregory Peck" (MyMovies).

Lontano dal Paradiso (2002): omaggio ai melodrammi di Douglas Sirk, il film è ambientato negli anni Cinquanta e affronta di petto due tabù dell'epoca e probabilmente anche di oggi, miscegenation e omosessualità.
Molti critici non hanno accettato fino in fondo l'attualità (provocatoria) di una infelice storia d'amore tra una perfetta casalinga americana e un colto giardiniere di colore.
Ma l'idea di fondo del film era la messa in discussione del topos dell'innocenza americana, sorta di pilastro dell'autorappresentazione che gli americani danno della propria storia. La buona madre di famiglia (paradigma di quell'innocenza) si trova alle prese con le tensioni della modernità e finisce per perdere prima il marito omosessuale e poi l'innamorato nero. La conclusione sembra essere che il percorso del cambiamento iniziato in quegli anni, in verità, non sia mai stato portato a compimento. L'innocenza dell'America, che si specchia ancora nell'immagine della casalinga perfetta, è stata preservata, a costo però di rinunciare ad affrontare, e quindi forse a superare, i propri tabù (JGCinema).

tutteleproblematiche


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