lunedì 28 luglio 2008

I "generi": il western


Cosa caratterizza il western?
Fondamentalmente simboleggia l'opposizione tra il mondo civilizzato della città e quello della frontiera selvaggia.
L'eroe è il rappresentante della frontiera, massima espressione di libertà, in opposizione alle soffocanti limitazioni della civiltà urbana.
A volte l'eroe viene chiamato in aiuto di una cittadina, ma una volta portato a termine il suo compito si allontana a cavallo nel tramonto.
Altra caratteristica saliente è la contrapposizione tra mondo maschile (coraggio e prepotenza) e quello femminile (bisogno di protezione e spirito di sacrificio).

1915: David Wark Griffith gira "Nascita di una Nazione", uno dei più grandi film della storia del cinema muto.
Il film apre la strada al western ma i lavori che codificano questo genere sono "I pionieri" di James Cruze (1923) e "Il cavallo d'acciaio" di John Ford (1924). Nel primo troviamo il viaggio collettivo di conquista, il fascino dell'ignoto da sfidare, l'aspirazione alla terra promessa… e quest'ultimo tema campeggia anche nel secondo, epico affresco della costruzione della prima linea ferroviaria.

1939, si arriva al capolavoro. Ford gira "Ombre rosse".
Su una diligenza, attraverso un territorio aperto alle scorrerie degli Indiani, salgono vari personaggi che non hanno nulla in comune tra loro. Alla fine capiranno cosa sia la solidarietà (il film esce alla vigilia della seconda guerra mondiale: il messaggio è che uniti si può affrontare ogni rischio e tener testa a qualunque nemico?).
Il film pone le basi degli archetipi del genere: il pistolero solitario, il baro, il dottore alcolizzato, la prostituta, il banchiere truffaldino, lo sceriffo.
Ford diviene ben presto il più famoso cantore della nobiltà dell'animo umano che affronta le avversità perché sa di essere nel giusto ("Sfida infernale" 1946, "Il massacro di Fort Apache" 1948).

In generale ciò che caratterizzerà il western per quasi un trentennio è la decantazione dell'Ovest leggendario, l'apologia del cow-boy, la legittimazione del genocidio degli Indiani.

Anni Cinquanta, qualcosa cambia: appaiono western che definire "intellettuali" non è del tutto sbagliato.
Esempi famosi sono "Mezzogiorno di fuoco" (1952 Fred Zinnemann), "Il cavaliere della valle solitaria" (1953, George Stevens), "Johnny Guitar" (1954, Nicholas Ray).
Nel primo vi è la perfetta analisi della solitudine dell'eroe e della vigliaccheria dei concittadini (un'allusione alla situazione degli artisti sottoposti al processo maccarthista?).
Nel secondo, la frontiera è vista con sguardo critico più che mitico e si inizia ad affrontare il tema della ragione dei più deboli.
Nel terzo protagoniste sono due donne, mentre il personaggio maschile è semplicemente un pistolero stanco in cerca di tranquillità.

Anni Sessanta: è l'era kennedyana ma anche della violenza razziale, del pantano vietnamita e della contestazione giovanile.
Lo scossone politico e ideologico si riflette sulla produzione cinematografica (i critici parlano di "Hollywood Renaissance").

Vari registi ritengono che col western si possano affrontare temi contemporanei sotto forma di metafora.

Sam Peckinpah in "Sfida nell'Alta Sierra" (1962) parla di due cow-boys ormai al tramonto; Richard Brooks ne "I professionisti" (1966) racconta una parabola amara sulla caduta degli ideali dell'America liberal; ancora Peckinpah ne "Il mucchio selvaggio" (1969) ritrae la violenza come qualcosa di intrinseco alla natura umana, un qualcosa che libera l'uomo sottoposto a costrizioni e divieti di ogni tipo da parte della società.
Anche il vecchio John Ford si allinea alla nuova tendenza; ne "L'uomo che uccise Liberty Valance" (1962) abbiamo un lungo flashback durante il quale si cerca di recuperare una verità, ma alla fine del quale si preferisce tenere in vita un mito fasullo piuttosto che svelare la verità: un epitaffio per un mondo finito per sempre (il grande John Ford già precedentemente ha fatto scricchiolare l'impianto tradizionale del western: in "Sentieri selvaggi" del 1956 si mette in discussione un aspetto fondamentale della tradizione, la virtù dell'eroe di frontiera).
I western più famosi del periodo sono senz'altro "Soldato blu" di Ralph Nelson, "Il piccolo grande uomo" di Arthur Penn (ambedue del 1970), "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo" di Sydney Pollack (1972).
Ci si interroga sul passato secondo le nuove esigenze (sessantottine).
Si mettono in discussione alcuni classici presupposti (la nobiltà dell'uomo bianco, la barbarie dell'indiano).
La visione ora è che gli Indiani vivono nel rispetto delle regole, sono pacifici, non hanno il mito dell'arricchimento e del denaro, sono saggi nei confronti della natura (saggezza di cui l'uomo bianco non sembra capace essendo troppo impegnato nei suoi ambiziosi progetti di dominio). La cultura dei nativi è valorizzata e vista come alternativa ai metodi distruttivi del colonialismo dei bianchi.

Nella forma "rivisitata" il western continua ancor oggi: "Balla coi lupi" (1990) e "L'ultimo dei Mohicani" (1992) celebrano gli Indiani e li piangono come vittime del colonialismo; "Gli spietati" (1992) ridimensiona i miti del passato mostrando il pistolero come figura vile e meschina.

1964, Sergio Leone dirige "Per un pugno di dollari".
Nasce un vero e proprio genere che si protrarrà sino alla metà degli anni Settanta.
La mitica epopea della frontiera americana si trasforma in una disperata avventura di odi, di vendetta, di violenze fini a se stesse… e il tutto nella desolazione di paesaggi desertici e villaggi inospitali.
Il "western-spaghetti" si caratterizza per l'accentuazione dei toni della violenza e della brutalità (ma non mancheranno esempi di ironia e di parodia). Il cavaliere bianco senza macchia e senza paura è ormai sostituito da una visione più disincantata e crudele: i killer sono sadici e spietati, i personaggi cinici e cattivi (da sottolineare che l'assenza di un eroe implica la mancanza di confini tra il bene e il male).

fonti
Gianni Amelio "Il vizio del cinema", Ciolfi-Sala "Ma come si legge un film?", Fernaldo Di Giammatteo "Storia del cinema", Geoff King "La nuova Hollywood", Massimo Moscati "Breve storia del cinema"
tutteleproblematiche
i "generi" cinematografici

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