Presentato con enorme successo di pubblico e di critica al Festival cinematografico di Roma (ma inspiegabilmente escluso dal concorso).
Dato l'argomento vi era il pericolo di cadere nella retorica o nel melenso: ma il film evita accuratamente ogni forma di pietismo. Un lavoro che poteva facilmente scivolare nel patetico, nel macchiettistico, nel didascalico… e che invece risulta asciutto, profondo e commovente, serio e scanzonato al contempo, sempre intenso e coinvolgente.
Un tema scomodo (che amiamo rimuovere) trattato con delicatezza e intelligenza, con umanità e sensibilità: un mix di pianto e risate, humor e drammaticità, calibrato e misurato al massimo, che inizialmente può procurare disagio e angoscia e che si risolve in una vera e propria esaltazione, garbata e toccante, dell'amore, dell'amicizia, della integrazione, della solidarietà ("la prova che, se si vuole, «si può fare»" scrive Repubblica).
Un film, che pur dolce e ironico, affettuoso e sorridente, scuote le nostre coscienze: ambientato negli anni 80 in una Milano superficiale e dedita al culto dell'effimero, ci fa riflettere molto sulle utopie e sui valori essenziali della vita.
Scritto e sceneggiato da Fabio Bonifacci, diretto da Giulio Manfredonia (buon sangue non mente… è il nipote di Luigi Comencini), ispirato a fatti reali (la storia della cooperativa Noncello di Pordenone), un film che ci fa sognare e credere che l'umanità sia migliore di quanto comunemente si creda ("racconta un'utopia possibile e disperatamente ottimista, di quell'ottimismo forse cieco ma necessario come il pane al giorno d'oggi" scrive Federico Gironi).
Avvincente e sempre credibile, mai deprimente né banale, un film (in cui l'intero cast -mai sopra le righe- dà uno straordinario contributo) degno di essere visto come pochi e che cattura lo spettatore, attento e partecipe come non sempre accade.
tuttelerecensioni
giovedì 13 novembre 2008
"Si può fare" di Giulio Manfredonia
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento