giovedì 18 settembre 2008

"Le tre scimmie" di Nuri Bilge Ceylan

(Üç Maymun)
Un film di Nuri Bilge Ceylan
Con Yavuz Bingöl, Hatice Aslan,
Ahmet Rifat Sungar, Ercan Kesal, Cafer Köse
Genere Drammatico, colore 109 minuti
Produzione Turchia 2008 - Distribuzione Bim
[Uscita nelle sale venerdì 12 settembre 2008]


Nuri Bilge Ceylan, quarantanovenne regista turco, esperto di ingegneria elettrica e di fotografia, non è un nome noto al grande pubblico ma chi frequenta i Festival lo conosce bene (nel 2003 a Cannes il suo autobiografico "Uzak" vinse due premi, ma nel 2006 il suo "I climi" fu abbondantemente fischiato dai rappresentanti della stampa): "soprannominato l'Antonioni turco, è uno dei nomi più in vista del cinema contemporaneo. E uno degli sguardi più originali e penetranti sulle relazioni umane" (Nicola Falcinella).

Non tutti i critici hanno gradito, ma
"Le tre scimmie" al 61° Festival di Cannes ha entusiasmato la Giuria che lo ha giustamente premiato come "miglior regia".
Un film severo (
"algido, quasi scandinavo", afferma Federico Gironi) che richiede impegno e attenzione da parte dello spettatore che viene però ripagato con uno dei lavori più interessanti delle ultime stagioni.

Fotografia monocromatica di una bellezza non usuale, ogni inquadratura sembra un quadro: quanto di meglio si sia visto ultimamente.
Attori superlativi, in grado di trasmettere sensazioni ed emozioni a non finire solo con gli sguardi, i gesti (le parole sono ridotte al minimo): spicca
Hatice Aslan, drammatica e intensa come poche, uno dei volti più interessanti che il grande schermo ci abbia recentemente mostrato (non sarà facile dimenticarla, l'augurio è di rivederla presto), mirabile nel disegnare una donna vittima tre volte, come madre come moglie come amante.

Un desolante affresco dell'umanità dominata, e schiavizzata, dal danaro e dal potere; una umanità senza speranza, corrotta e colpevole, amorale disgregata smarrita, incapace di comunicare. Un affresco che pone l'accento sull'ipocrisia, sulla viltà, sulla mancanza di coraggio di guardare una realtà che addolora e ferisce : un invito a riflettere su noi stessi e a metterci in discussione.

Con una sceneggiatura essenziale ed asciutta al massimo, tutto è nelle mani della regia. Una regia che sintetizza, e fa sua (come scrive Gianni Quilici), le caratteristiche di tre maestri come Anghelopulos, Bergman e Bresson:
"Anghelopulos per l'inquadratura fissa... una soggettiva che si carica di un sentimento forte, sospeso, inesprimibile. Bergman per i primissimi piani e contropiani, che rendono in modo scultoreo dolore, contrasto, condizione di inferiorità, desiderio. Bresson per l'importanza dei suoni che diventano colonna sonora espressiva del film: la porta che cigola, i cani che abbaiano, il cellulare che canta, il treno che passa, i grilli... ". Una regia da applauso che fotografa il silenzio.

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