Grande attesa. Grande delusione per i fan di Indiana Jones.
"Indiana Jones e il Regno del teschio di cristallo" piacerà a qualche ragazzo non ancora stanco dei tanti blockbusters, dei film "fracassoni" che vedono trionfare la tecnologia ma latitare le idee, ma chi ha un minimo di pretese e soprattutto chi si è (giustamente) entusiasmato con gli episodi precedenti della serie non potrà che rammaricarsi e inveire contro Lucas e Spielberg che hanno tradito i loro ammiratori e il loro eroe.
Una icona, un mito per milioni di spettatori di tutto il mondo ridotto quasi a far da comparsa tra mille e ripetuti effettoni (spesso fini a se stessi e riempitivi) senza il sogno la fantasia la favola che avevano caratterizzato in passato il personaggio: latita lo spirito avventuriero, domina la tecnica digitale.
Poca ironia, minima suspense, sequenze lunghissime e stancanti di inseguimenti e duelli, personaggi privi di spessore e di credibilità. Si aggiunga che il racconto vero e proprio inizia dopo una ventina di minuti completamente inutili (se non per mostrare la potenza della Industrial Light and Magic, l'industria degli effetti speciali creata da George Lucas), che il personaggio di Cate Blanchett è particolarmente fastidioso col suo essere al contempo eccessivamente ridicolo e pesante, che qualche sequenza di puro stile horror ci poteva essere risparmiata, che riprendere il tema dei Russi cattivi e sanguinari non è il massimo dell'originalità.
Harrison Ford avrebbe dovuto giocare di più sulla sua età… Dopo pochi minuti che il film è iniziato "si esibisce in trovate mirabolanti e improbabili, decisamente sopra le righe anche per il suo personaggio", senza alcuna autoironia, coadiuvato da un Shia LaBeouf, giovane exstudente che inspiegabilmente sembra allievo di Tarzan o di Rambo.
Ha scritto giustamente Rudy Gonzo: "...salviamo la nostra fantasia da chi ci ha aiutato a svilupparla, salviamo i personaggi dai loro autori ormai non più all'altezza, salviamo il cinema dai videogiochi, salviamo il bambino che c'è in noi dalla playstationizzazione dell'immaginario".
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