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1916: David Griffith gira “Intolerance”, un film (sebbene contraddittorio e magniloquente) che segna la nascita del cinema civile americano .
Da quel momento Hollywood mette sovente la sua potenzialità al servizio dell'impegno sociale, trattando temi che stimolano il pensiero critico, denunciando drammi e repressioni che macchiano di sangue e ingiustizie il mondo contemporaneo (e non solo).
Lunghissimo è l’elenco dei film che in passato hanno invitato all'agire non violento, al rispetto e solidarietà verso i diritti degli esseri umani (ma anche dell'ambiente), alla libertà e alla emancipazione, che hanno combattuto contro l'indifferenza, i pregiudizi, che hanno espresso simpatia per ogni forma di diversità.
E oggi?
Accanto ai soliti filmoni “tutto muscoli e poco cervello”, e alle biografie improvvisamente ritornate di moda, sembra che Hollywood (che purtroppo continua ad insistere con remake e sequel) tenti finalmente di impegnarsi maggiormente (indipendentemente dai risultati più o meno positivi)… tanto è vero che la rivista “Primissima”, ironicamente, si chiede:
“Che i soliti comunisti abbiano conquistato la Mecca del cinema...? O forse la politica sta tornando al cinema? Come negli orribili anni settanta, quando ad Hollywood cominciarono a comandare le checche, e non si sentiva parlare altro che di diritti civili, guerre del Vietnam, e di emancipazione delle fottutissime femministe…”.
Abbiamo film che (pur non rinunciando del tutto alla spettacolarità) si interrogano sulla politica che ha portato allo scoppio della guerra in Iraq e sulla connivenza tra terrorismo-governo-industria; che affrontano apertamente realtà che solitamente si preferisce ignorare; che si chiedono se l’America abbia la violenza nel Dna; che parlano di solitudine e di incomunicabilità, della condizione delle donne, del malessere delle province, della sofferenza nelle sue dinamiche, dell’incontro-scontro tra comunità diverse…
E allora, il vento dell’impegno tira nuovamente (e finalmente) su Hollywood?
Ricordiamo alcuni titoli...
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